sabato 28 gennaio 2012

La casa dei sogni

"C’era una volta, tanto tempo fa, un anatraccolo che svolazzava tutto solo tra i sentieri di un bosco, all’apparenza sconosciuto.
Era timoroso, perchè sapeva di aver già visto quei posti, ma non ricordava dove mai li avesse visti...
Ad un certo punto si imbattè in una casetta tutta colorata. Rimase stupito perchè non capiva come potesse esserci una casetta simile in mezzo ad un bosco.
Incuriositò ci entrò. Trovo subito una grande stanza con altri animaletti che ridevano, saltavano, giocavano, mangiavano e bevevano; si stavano divertendo. Stava per entrare in quella stanza, ma qualcosa catturò la sua attenzione: una scala...
Iniziò, con dei piccoli salti, a salire un gradino per volta. Arrivò al primo piano della casa e si guardò intorno. C’erano tante porte ma tutte chiuse a chiave. Sconsolato stava per tornare indietro, quando improvvisamente vide una nuova scala comparire. Sempre incuriosito partì alla volta del secondo piano... Era un po’ perplesso perchè si domandava come potesse una casa così piccola avere così tanti scalini. Ma era troppo curioso e continuò a salire. Anche al secondo pianto c’erano una serie di porte, ma ancora chiuse.
Stanco e rassegnato era pronto nuovamente a scendere, quando, per la terza volta, ecco comparire un’altra scala. In cima ad essa c’era una porta aperta e attraverso la porta passava della luce. Salì ed entrò nella stanza... Era piena di pennarelli, matite colorate, fogli e disegni; c’era un grande letto dalle lenzuola rosse e tutta la stanza aveva pareti in vetro trasparente. L’anatroccolo si avvicinò alle finestre e vide che intorno alla casa il bosco era sparito e c’erano tantissime altre case. Ma qualcosa catturò la sua attenzione: una montagna, altissima, maestosa, ricca di piante e di sentieri.
Era emozionato e si domandò se mai un giorno sarebbe riuscito ad arrivare a quella montagna. Era così piccolo e quella montagna così grande; ma lui voleva arrivarci proprio in cima. Voleva vedere il mondo in piccolo. Vedere come tutti gli animali più grossi di lui erano alla fine piccoli quanto lui.
Si girò come se volesse togliere dai suoi occhi quell’immagine e a quel punto, si accorse che nella stanza c’era una grandissima aquila dalle piume dorate. Senza saperlo era finito nel suo nido. Rimase estasiato. La grande aquila, senza dire niente, lo avvicinò a se, lo strinse forte e gli diede un bacio. Improvvisamente, l’anatroccolo si sentì più forte e svolazzò fuori dal nido, pronto per iniziare la sua nuova avventura su per la montagna. Le sue paure erano sparite, la sua voglia di scoprire cosa ci fosse in cima alla montagna invece, aumentò."

venerdì 27 gennaio 2012

La perdita di un figlio

"Che titolo orribile per un post. Purtroppo, come medico pediatra e attraverso il mio viaggio con la fondazione Altynai, ho avuto l'esperienza della perdita di un figlio. Perdere un bambino non è mai facile da accettare. Stasera ci sono13 famiglie che sono disperate perché hanno "perso" il bambino che erano così vicine a portare a casa. Hanno perso una persona cara. Un bambino di cui si innamorarono perdutamente molti anni fa. Un bambino per il quale hanno lottato a lungo. Un bambino per cui avevano speranze e sogni. E a peggiorare le cose, ci sarà che pochissime persone capiranno la gravità di questa perdita. Ad essere sinceri, penso che solamente le persone che sono nel mondo dell'adozione possano comprendere appieno la gravità e il dolore che questi genitori si trovano ad affrontare. Ho conosciuto le difficoltà durante le nostre sfide per Altynai.
Gli estranei, pensano che siamo pazzi e probabilmente troppo drammatici, ma si sbagliano. E' il legame che si forma tra i futuri genitori adottivi e il bambino che è stato abbinato a renderci così unici. Perdiamo la testa per un bambino che non ha il nostro sangue, e nemmeno la nostra razza o colore. Siamo attratti da questo disegno di Dio che ci porta ad adottare. Lui apre i nostri cuori e ci permette di amare questi bambini come se fossero nostri, anche se abbiamo trascorso poco tempo con loro; così quando un rinvio diventa una perdita, può essere devastante. E l'arrivo di questa notizia straziante in questa settimana non poteva essere più crudele e io sono completamente disperato per queste famiglie, tra cui cinque, che hanno beneficiato del Fondo di Altynai. Spero e prego Dio perchè abbia in serbo qualcosa di meraviglioso per loro e che questi piccoli possano crescere felicemente nelle loro nuove case."



E' proprio così che ci sentiamo; per ora non l'abbiamo ancora perso, ma il legame che si è instaurato è una cosa troppo profonda; è vero, nessuno dall'esterno lo può capire...
Altro che "tanto non è tuo figlio"; e chi lo dice? Solo perchè non ha il nostro stesso sangue? 
Al giorno d'oggi quelli con lo stesso sangue vengono trattati da schifo... Non è questo che fa la differenza.
Proprio no... E allora noi dobbiamo combattere per avere questo bambino... Certo è che difronte alle decisioni del Paese siamo tutti impotenti e non potremo fare niente.

martedì 24 gennaio 2012

Sono stanco!

"Credo proprio che questo bambino non arriverà più"


Con queste parole ieri sera ho provato a prendere sonno; con queste parole stanotte alle 4,00 ero sveglio; queste parole stamattina mi hanno dato la sveglia.
Sono stanco psicologicamente, ma soprattutto fisicamente. Per la prima volta dopo 3 anni e mezzo, mi sento davvero STANCO.
Sarà che il pessimismo cosmico che mi circonda è un milione di volte più forte rispetto all'ottimismo con cui fino ad ora sono riuscito ad andare avanti e che mi ha sempre permesso di reagire.
Ma quanto sta succedendo dal primo di dicembre ad oggi, non sta aiutando per niente.
I due mesi di silenzio, i ma, i forse, i potrebbe... Vedere altri Stati venire accreditati nel Paese e sapere che dell'Italia nessuno parla, come se fosse un Paese inesistente... Leggere che alcuni bambini abbinati agli Americani prima della moratoria del 2008 gli sono stati tolti... E' davvero davvero stressante.
Il tutto condito da questo silenzio irreale che da due mesi, dopo la notizia dell'accreditamento dell'Italia, che a questo punto penso proprio sia stata si una notizia vera, ma priva di alcuni particolari fondamentali, mette a dura prova il mio e il nostro sistema nervoso.
Forse ad oggi ero l'unica persona tra tutte le famiglie italiane in ballo, a crederci ancora, ma adesso mi sembra di essere dentro un pozzo: sto cercando di venirne fuori, ma le pareti sono umide e melmose e continuo a scivolare ogni volta che cerco un appiglio.
Avrei bisogno che qualcuno mi lanciasse una corda di fatti e parole che mi diano la certezza che il tutto si concluderà positivamente e che la foto che abbiamo in mano non sia e sarà per sempre un'anima di carta che vola e volerà nei pensieri del nostro cuore.
Come dice Silvia ultimamente: "davvero sembra di essere in una lavatrice mentre fa la centrifuga avendo la consapevolezza di non riuscire ad uscire mai una volta "strizzati"...".
Non so se il bimbo sulla foto, che ormai dopo quasi 7 mesi stringiamo tra le mani, diventerà davvero nostro o come pensa Silvia non arriverà più, ma mi auguro che qualsiasi cosa gli capiterà, potrà ricevere almeno la metà del bene che noi gli vogliamo anche se a 6000 km di distanza e anche se ancora non siamo riusciti nemmeno a vederlo.
E se così sarà, per la terza volta ci verrebbe negata la possibilità di avere un figlio.

domenica 22 gennaio 2012

Sogno premonitore (?)

Stanotte ho fatto un sogno, che spero sia premonitore. Ci vorrebbe uno psicologo per capire se sia o meno così. Ma lo spero davvero.
Il sogno è lo stesso che ho fatto più o meno due mesi fa; stessa ambientazione e stesso contesto.


"Io e Silvia siamo in macchina e stiamo percorrendo una strada di montagna. A grandi linee, per particolari, ricorda la strada, che usciti dall'autostrada, porta a Zeri, un paesino sull'Appennino Toscano.
Sopra le nostre teste vediamo, molto molto in alto, un ponte enorme che collega due estremità di due montagne. La sua caratteristica è che non ci sono piloni che lo sorreggono. 
A differenza dell'altra volta, stavolta, manca metà ponte. Ci sono delle gru che in qualche modo stanno cercando di ricostruire la parte mancante. La cosa strana è che nonostante tutto, ci sono dei camion (vecchio genere, modello anni '50) e delle macchine più o meno attuali, che arrivati nel punto in cui il ponte è sparito, riescono ad andare avanti come se ci fosse una sorta di strada invisibile.
Noi intanto proseguiamo per la nostra strada. Sulla sinistra troviamo l'ingresso di una galleria, che è quella che porta in cima alla montagna per prendere il ponte. Come l'altra volta, nonostante il ponte sia franato, c'è una scritta verde che indica che il ponte è agibile, ma noi anche questa volta proseguiamo per la nostra strada."


Nello scorso sogno, a questo punto penso di essermi svegliato, perché non ricordo più cosa sia successo. 


"Stavolta, invece, arriviamo ad un incrocio. Dovevamo immetterci nella strada principale; svoltando a sinistra si saliva, a destra si scendeva.
C'era una coda di macchine interminabile. Era impressionante la velocità in cui sfrecciavano e noi eravamo li fermi perché non riuscivamo a trovare il momento adatto per buttarci nel traffico. Improvvisamente mi rendo conto che la mia macchina non aveva più il tetto, le portiere, i sedili le ruote e il motore. Aveva solo la base su cui noi eravamo seduti; c'era il volante e niente più. Scendo così dalla macchina, la sollevo con su Silvia e in qualche modo passo attraverso le macchine e mi ritrovo così in un piccolo slargo ghiaioso al di la dell'incrocio. Non ricordo ora esattamente in che modo sono riuscito a passare. Ricordo solo che quando mi sono ritrovato sulla ghiaia, la macchina aveva sempre e solo il fondo, che tra l'altro non era nemmeno più rigido; era una sorta di tappeto.
A questo punto il nostro viaggio doveva riprendere. Ma come dato che le macchine che da dietro arrivavano, sfrecciavano ed erano tutte una attaccata all'altra? Ma soprattutto come potevamo fare dato che la nostra macchina era praticamente inutilizzabile? Guardo così Silvia e le dico di mettere giù una gamba e di aiutarmi a muovere la nostra auto con l'aiuto delle nostre gambe. Mi giro indietro e vedo che tra una macchina e l'altra si è formato uno spazio. Mettendo forza nelle gambe riusciamo, facendo sfregare il fondo dell'auto sulla ghiaia a intrufolarci in quello spazio e mentre la macchina a quel punto tornava a prendere le sue sembianze, la salita verso non so dove riprendeva."

giovedì 12 gennaio 2012

6 mesi

Oggi sono passati esattamente 6 mesi da quando abbiamo conosciuto in foto il nostro piccolo R.
Di emozioni ne abbiamo vissute tante. Le poche gioie sono sempre state cancellate subito dopo dai molti dolori.
Il tempo di gioire per qualcosa è sempre durato davvero troppo poco. Dietro l'angolo c'è sempre stato qualcosa o qualcuno che ha impedito che l'urlo potesse uscire dalla nostra bocca e rimasse così strozzato in gola.
Oggi è la famosa combinazione di numeri 12/1/12. Non credo succederà nulla di nuovo, non credo avremo notizie ufficiali ma mi sento particolarmente euforico stamattina.
E' da pazzi lo so, ma stamattina è successa una cosa strana...
Come ogni mattina ho messo la foto del nostro piccolo, per terra davanti alla porta del bagno, in braccio al suo orsacchiotto e sopra la sua macchinina che mi immagino lo accompagnino nel suo viaggio, ad attendere che Silvia uscisse dal bagno. Mi piace immaginare che anche un domani lui sarà lì, seduto sul suo triciclo ad aspettare che sua mamma esca dal bagno con in braccio il suo orsacchiotto e quando lei uscirà la accoglierà con il suo solito sorriso che in questi mesi ci ha accompagnati.
Comunque una volta che Silvia lo ha salutato, ho rimesso tutto al suo posto, nel solito pezzo di cucina dedicato a lui insieme a tutte le immaginette. Tra l'altro settimana scorsa quell'angolo si è arricchito con l'immaginetta e la candela di Santa Rita, la Santa protettrice della cause impossibili, gentilmente regalataci da mio cugino e dalla sua fidanzata, dopo un pellegrinaggio al Suo santuario.
Ecco che avviene la cosa strana. La foto che solitamente rimane sulla macchina, stavolta è giù dalla macchinina. Io non ci faccio caso, me lo fa notare Silvia poco dopo durante la colazione. Mi chiede perchè è giù dalla sua macchinina; d'istinto le rispondo: "perchè il suo viaggio è finito".
Questa cosa mi ha rallegrato la giornata. Lo so e ripeto, che è da pazzi, ma tutte queste piccole cose ci permettono di continuare ad andare avanti e sperare che presto la data che indichi la fine della nostra attesa ci venga presentata.

domenica 1 gennaio 2012

L'arbusto che divenne albero

"C’era una volta un piccolo arbusto cresciuto in un campo pieno di rovi e rifiuti.
Stava lì impassibile alle intemperie, a vivere la sua fragile e giovane vita. La luce che filtrava attraverso i rovi e le sterpaglie era sempre poca; si sentiva solo e abbandonato ma non indifeso, perche la vita con lui, fin da subito, gli aveva insegnato che per sopravvivere avrebbe dovuto cavarsela da solo.
Infatti, sebbene la luce che filtrava tra i rovi fosse poca, era riuscito in qualche modo ad estendere parecchio le sue radici e durante le pioggie riusciva ad abbeverarsi.
Nessuno passava mai per quel campo e lui sapeva che sarebbe stato impossibile crescere e diventare albero, ma non gli importava; quella vita che in qualche modo gli era stata data, lui la voleva vivere a tutti i costi.
Un giorno si accorse che una giovane donna stava passeggiando in una stradina adiacente al campo.
Era raro che qualcuno passasse di lì dato che il campo non offriva nulla di bello da vedere. L’arbusto a quel punto cercò di farsi notare.
Inizio a lasciarsi muovere dal vento che soffiava tra i rovi, ma era troppo piccolo e il vento troppo debole e la donna non si accorse di lui.
A quel punto allora, fece in modo che la poca aria che filtrava attraverso i suoi fragili ed esili rami, emanesse dei suoni.
D’un tratto, la donna udì un suono, una specie di pianto in lontananza. Si girò e cerco di capire da dove arrivasse quel lamento, ma non vide nulla.
Decise allora di spingersi fin dentro il campo, attraverso i rovi e le sterpaglie, fino a quando vide il piccolo arbusto.
Le sembrò impossibile che fosse proprio lui ad emettere quel suono, invece era proprio così.
A quel punto uscì di corsa dal campo e si diresse verso casa, raccolse un badile e tornata nel campo iniziò a scavare intorno all’arbusto.
Dopo parecchi minuti passati a scavare e dopo essere rimasta stupita dall’estensione di quelle fragili radici, riuscì ad estrarre l’arbusto dalla terra.
Corse nuovamente a casa e lo trapiantò nel suo giardino.
Da quel giorno la giovane donna iniziò a prendersi cura dell’arbusto e in poco tempo questi divenne una pianta enorme, belissima, piena di fiori colorati e profumati prima, e frutti dolcissimi dopo.
Finalmente l’arbusto era riuscito a diventare un albero e si sentì così realizzato e felice di poter vivere il resto della vita nella sua nuova casa".